
Riccardo Ventelli, “Il latte condensato, il pane e poco altro”
Dove andavamo di notte
quattro venti cento moltitudini
soli come cani abbandonati
E ora dove andiamo.
© foto di Francesca Perlini
Dove andavamo di notte
quattro venti cento moltitudini
soli come cani abbandonati
E ora dove andiamo.
La nostra lingua ha una madre antichissima, la poesia. Siamo figli di questa materia creatrice, di questa parola azione che ci connette, attraverso un cordone mai spezzato, con la vibrazione originaria, Om, Verbo, che dà vita all’universo. Padre della nostra lingua è Dante. La sua eredità vive in noi soprattutto inconsapevolmente, come un’eredità genetica
Dal centro del lago bianco cantiamo
con gli occhi il luccichio di un’alba
sorgere dall’orizzonte del muro.
Il passo stesso traccia un arco, una soglia, racchiude in sé, come sosteneva Pina Bausch, tutta la danza. A muovere Franco è una profonda ebbrezza provocata dall’immersione nella materia del reale, un’esperienza che rinsalda così pienamente nell’esistenza da trapassarla. […] È come se abbia mosso i primi passi in un’altra terra che è questa nostra terra, nella sua essenza illuminata.