Matteo Tasca, “Un giorno di festa”
è entrata in te
una giornata di festa
dove ognuno è il benvenuto,
e tu sei il salone
e tutti gli invitati.
è entrata in te
una giornata di festa
dove ognuno è il benvenuto,
e tu sei il salone
e tutti gli invitati.
E poi il bicchiere cade
in un’altra sfera.
Che sogno strano,
un risveglio lento.
E sulla mano
una mosca,
una vita fastidiosa.
Fìdati, come mi fido io
che oscillo
c’è ancora terra
su cui ancorare un busto vivo,
ancora mani in cerca di una direzione.
Finire il passato.
Tenere la lingua ferma finché sopra
ci cresca l’erba.
Come un lago intorno a un lago.
Il confine, il significato.
per il vento
tremano le dita.
crolla
il ritmo del respiro negli oggetti.
Marco el ndeva torno. I ghe gheva senpre dito «Chi che no ga testa ga ganbe», ma no jera vero el contrario: łu el jera fato pa métare on pie drìo queł’altro e via de caza, drìo on àrzare, el se gheva catà co ’l can. No i se gheva mai perdesto, łori.
alleggerire gli alberi di un braccio
o di una gamba
masticare di nuovo le ombre
fino a sparire.
E in questa campana vibrante,
incavata dal silenzio degli occhi,
la mente oscilla il suo batacchio.
E la vita si risolve in relazioni
di cadenza e dissonanza.
dappertutto un’esistenza a ricevere,
gli ovuli numerosi – viene al sole
per intercessione di api, la veccia,
persona entomofila, creatura
di un dio che senza scienza sapeva.
E tornai a questi cieli,
tra le luci del Nord,
tra le betulle bianche,
trafitte nella terra.