Sette giovani autori di poesia italiana contemporanea – Agostino Cornali, Claudia Crocco, Antonio Lanza, Franca Mancinelli, Daniele Orso, Stefano Pini, Jacopo Ramonda – ciascuno presente con una raccolta autonoma preceduta da esauriente introduzione critica. Sette piccoli libri di poesia racchiusi in un unico volume a illustrare le nuove scuole o tendenze della giovane poesia italiana. Prefazioni di Antonella Anedda, Milo De Angelis, Umberto Fiori, Massimo Gezzi, Fabio Pusterla, Flavio Santi, Niccolò Scaffai. A cura di Franco Buffoni.
Le donne nella poesia italiana contemporanea sono una presenza molto forte: dietro quella decina di autrici che tutti conoscono e molti amano c’è una ricchezza di voci emergenti di grande interesse e di sicuro valore. Questa antologia ne raccoglie dodici con la duplice intenzione: di farle leggere o rileggere a un giro di lettori abbastanza ampio e di confrontarle fra loro “a distanza ravvicinata”, per vedere ciò che le unisce al di là dell’ineccepibile originalità delle singole scritture.
«Sembra che gli artisti abbiano un rapporto privilegiato con l’ES, magicamente descritto dal “Kaiser” Groddeck come “entità prodigiosa”, ubiquitaria e totipotente, che dirige tutto ciò che gli umani fanno, una forza travolgente e imperscrutabile che ci vive anche quando pensiamo di essere noi gli artefici del nostro destino». Contributi e testi di Donatella Bisutti, Franco Buffoni, Maria Grazia Calandrone, Milo De Angelis, Alessandro Defilippi, Laura Liberale, Franco Loi, Franca Mancinelli, Umberto Piersanti, Fabio Pusterla, Giovanna Rosadini, Francesca Serragnoli, Miro Silvera, Giovanni Tesio. A cura di Giancarlo Stoccoro.
Le donne nella poesia italiana contemporanea sono una presenza molto forte: dietro quella decina di autrici che tutti conoscono e molti amano c’è una ricchezza di voci emergenti di grande interesse e di sicuro valore. Questa antologia ne raccoglie dodici con la duplice intenzione: di farle leggere o rileggere a un giro di lettori abbastanza ampio e di confrontarle fra loro “a distanza ravvicinata”, per vedere ciò che le unisce al di là dell’ineccepibile originalità delle singole scritture.
Un’antologia che farà discutere ma che lancia le voci di 18 tra i migliori giovani poeti italiani. A cura di Giancarlo Pontiggia, già autore di un’antologia di poeti nuovi, La parola innamorata, che ha fatto epoca. Testi di Guglielmo Aprile, Roberta Bertozzi, Davide Brullo, Francesco Filia, Vincenzo Frungillo, Federico Italiano, Isabella Leardini, Franca Mancinelli, Maurizio Marota, Pietro Montorfani, Matteo Munaretto, Adriano Napoli, Daniele Piccini, Giuliano Rinaldini, Alessandro Rivali, Mariarita Stefanini, Andrea Temporelli, Matteo Veronesi.
Ogni testo è una cella di riflessione anzi una pagina bianca su cui addormentarsi e far deflagrare scaglie di memorie in un movimento di esposizioni e ritrazioni, di abbagli lancinanti. Mala kruna ci parla di un dolore simile a quello che Sophie Calle in un suo lavoro ha chiamato Exquisite Pain, termine medico che indica l’acuto raggiunto da una sofferenza fisica, ma che può essere usato anche per l’amore. […]
Pasta Madre approfondisce molti dei temi già presenti in Mala kruna: il senso dell’attesa, la scelta della pazienza, ma con un accentuarsi della trasformazione, una capacità di sbucciarsi dalla pelle umana per alimentare una muta verso il mondo vegetale e animale: albero, insetto, animale domestico, bestia selvatica in un trascorrere continuo, senza gerarchia.
(Antonella Anedda, Tredicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea)
In questo titolo, («Piccola corona di spine» è la traduzione dal croato), si offre da subito la cifra della poesia di quest’autrice: emblema e talismano, l’immagine rimanda a qualcosa che, nella sua impenetrabilità difensiva, dichiara la sua delicatezza fragile… […] Il passo è calmo e meditativo, le immagini private e impenetrabili, il linguaggio non fa concessioni, non cerca facili effetti, è essenziale ed ellittico, corporeo e tellurico, tutto teso ad aderire a una interiore ricerca di definizione; la sintassi logica è scardinata, la metrica è «scucita», una continua variazione sul tema delle misure regolari della strofa e del verso. In questa poesia si avverte uno scarto, una distanza che chiede di essere colmata, uno strappo che va ricucito («ago» è, non a caso, parola ricorrente nella raccolta); il tu a cui è destinata è imprendibile e sfuggente, polimorfo, e abita uno sfondo in cui è riconoscibile la terra dell’autrice, le Marche; paesaggio nel quale si inserisce, in un anelito di comunione che lo rende idealmente axis mundi, tramite di congiunzione fra mondi diversi, visibile e invisibile, definito e indefinito («macerie e nascite, incontri e abbandoni»), l’io poetante […].
(Giovanna Rosadini, dalla Nota introduttiva a Nuovi poeti italiani 6)
Ho sentito spesso di portare la scrittura nel mio corpo, di essere inscritta, nel buio, da qualcosa che preme e lascia segni in me, anche durante il giorno, inavvertitamente, mentre la vita con le sue azioni e gesti dovuti ci richiama.[…] Ogni verso affiora da una faglia che si apre in noi. Il nostro compito è vegliarla, fare in modo che non venga ricoperta dai doveri della giornata. Nutrirci di silenzio come le piante di luce. Sostare quanto più ci è concesso in una condizione di soglia, dove può affiorare la vita con il suo incanto. Per questo amo i lunghi treni regionali e la pioggia, il privilegio di potere essere solo sguardo.[…] I versi del mio esordio, Mala kruna, sono nati dentro il fuoco di un trauma.[…] Quando, a un tratto, mi sono ritrovata dentro la materia della lingua, la sua forza mi liberava, mi denudava e proteggeva allo stesso tempo. Non c’era più alcuna ferita da nascondere. Si era cicatrizzata dentro le parole. La poesia mi ha condotto a questa sorta di precisione assoluta che abdica a se stessa. Fissando esattamente, con tutta la tua concentrazione, il tuo bersaglio, lo manchi sempre ma giungi a un punto vicino che si apre indefinitamente. La parola a cui sei arrivato contiene molto di più di quanto tu stesso le chiedevi; l’esperienza a cui volevi dare una forma si schiude mostrandoti la traccia di altre vite che non avevi sospettato.
(Risposte al questionario, in Poeti e prosatori alla corte dell’Es)
C’è in questi versi un malessere che implica tagli laceranti col passato, ma anche il disagio delle relazioni interpersonali e dei legami affettivi. Vi corre un procedimento inquisitivo e autopunitivo (gli aghi che perforano, ecc.) […]. Tacciono infine le voci salvifiche, non canta più alcuna provvidenziale sirena. Si accentuano all’incontrario le correlazioni visionarie […], che colgono traslatamente una chiusura e una crudeltà (già notate da Andrea Ponso) tali da trascinare in uno spazio più profondo e più esteso di quanto non racconti una vicenda individuale. […] La poesia raggiunge il nodo essenziale attorno al quale si aduna la manciata dei versi stretti nelle brevi composizioni, ma poi inarca al loro interno una traccia nebulosa e trafiggente, in una sorta di theatrum animae che assomiglia a un tavolo di autoanalisi e autoferimento. Ciò nonostante l’auditore fluviale di queste voci interne, il silenzioso notomizzatore delle ferite e delle lacerazioni, ricerca in via di principio e con minaccia di morte una costante solidarietà innanzi tutto con il mondo, poi con gli altri, con l’altro. […] l’atteggiamento verso i testi, verso la scrittura, vi diviene alla fine un motore di universalità e coscienza.
(Gualtiero De Santi, La poesia siccome grumo di ferite, in La Generazione entrante. Poeti nati negli anni Ottanta)
Che Mancinelli si affidi quasi integralmente al potere suasivo, e suggestivo, dell’immagine, ad esso confidando il moto dei suoi pensieri più intimi, traluce fin dalla poesia-incipit della prima sezione […]. E se è vero che tutte le immagini confluiscono – come per fatale attrazione – nel perimetro del corpo (di cui è utilizzato, nel corso del libro, un vastissimo vocabolario), sono gli occhi, sempre, a prevalere […], quasi che solo lì, sulla soglia dello sguardo, potessero depositarsi impronte indelebili e decisive, attraverso cui dipanare i fili della vita, leggere i segni del mondo. […] La suggestione della poesia della Mancinelli è riposta proprio in questo quieto irradiarsi dell’immagine, risultato non solo di una sensibilità poetica e linguistica, ma anche di una cura paziente del dettaglio.
(Giancarlo Pontiggia, Il miele del silenzio. Antologia della giovane poesia italiana)