
Carlotta Cicci, “Sul banco dei pesci”
Mi vesti di bianco
alzo polvere con i piedi scalzi
apro le braccia
tra le spine delle tue rose
assaggio la terra
rubo all’erba lucertole
devote
Mi vesti di bianco
alzo polvere con i piedi scalzi
apro le braccia
tra le spine delle tue rose
assaggio la terra
rubo all’erba lucertole
devote
vienimi a prendere qui sotto quando faccio il pesce cielo
e dico tutto con la bocca chiusa e lo sguardo aperto
i segreti io li dico tutti così perché quando l’udito è basso
sei tu il primo a dimenticare la rivelazione
quanto è stato detto tra te e l’acqua.
Contro le ombre sulla faccia chiedo
scusa puoi fare più piano. È un’ora precisa
che hai vissuto a mezza voce
Si ricorda di quando da piccola la vestivano gli altri e lei chiudeva gli occhi, teneva la stoffa delle maniche con le dita finché la sua testa non usciva dalla maglia. La lentezza di quel buio di pochi secondi veniva poi violata dalla luce metallica, dallo sforzo.
I piedi bagnati dentro le scarpe
Nella tasca del nonno morto
le caramelle
Non basta lasciare che accada.
Io disbosco. Dissodo. Irrigo.
Segretamente semino.
Gli oggetti, la loro certezza
è il loro inganno.
Se un uomo annega in mare
uno di loro inizia a respirare.
Il mio regalo era davanti ai miei occhi, ma non saprei dire che cosa fosse. Non era per me. Il regalo per me era dentro uno di quei pacchi che devono rimanere chiusi. Scartarli è una rovina. Non importa che cosa contengono; potrebbero anche essere vuoti. Il mio è stato consegnato così. Dalla distanza della sala sapevo che era ricomparso con i suoi riflessi argentati nel buio del sottoscala. La fata era tornata a fidarsi di me
apri la mano
e lascia che l’animale
ti attraversi la strada
c’è uno spazio buio
chiede acqua e radice
si piega, il naso sulle ginocchia, si stringe, si stringe le costole se non lo tiene, se non lo tiene stretto al suo interno
esce il rantolo di bestia