Mala kruna, ossia piccola corona di spine, raccoglie versi costruiti intorno all’idea del viaggio del treno del proprio essere, scandito da progressive perdite e abbandoni, in tre età della vita. Essenziali, incisivi, affilati sono la storia di un’esistenza, un romanzo poetico di formazione.
all’orizzonte un mare diverso
fermava il sangue sotto le unghie;
madre nera nell’isola
ti venne a fianco e ti disse del vento,
un cattivo tempo che non faceva
partire le barche;
poi fissò un punto sul muro
lungo la strada iniziava una festa
mala kruna, disse
piccola corona di spine.
e la ragazza arco
appoggia un piede in aria e congiunge
costellazioni di non generati
al grido che ha rotto ora le acque,
appesa la pelle a un ramo cattura
il vento, è una busta della spesa
di desideri altrui
svaniti in uno sguardo
nel treno del mio sangue
salite.
se avessimo la febbre insieme
staremmo come due cucchiai riposti
asciutti nel cassetto.
I piedi avanti e indietro come stracci
per fare le carezze ai pavimenti
o resteremmo nudi come chiodi
dimenticati in mezzo alla parete.
leggo stesa, il libro sul torace
è il mio terzo polmone
che s’apre e si richiude.
Come un anfibio stavo sulla sponda.
trapassano le date, si spengono
tizzoni nel cielo freddo, e tutti
si affrettano a coprire la paura
cercando di respirare in coro
al ritmo della specie. Tu soltanto
tra le coperte leggi e ti addormenti.
Questa poesia, apparentemente sottile e leggera, in realtà nasconde una forza di chiusura tenacissima, quasi maschile, e un’altrettanta crudeltà nei confronti di chi legge e di chi la avvicina. Chiusura e crudeltà, beninteso, patite in maniera molto forte dallo stesso poeta, quasi per assecondare una radice profondissima e inscalfibile, tragica. E sappiamo bene, del resto, che questa involontaria strategia, da non confondersi con più o meno programmatici trobar clus, si verifica solitamente laddove la ferita e l’emorragia è più copiosa e sanguinante.
Il libro ha un filo narrativo che annoda immagini di infanzia (con intelligenti cambi del punto di vista […]), all’apprendistato erotico-sentimentale e a una storia di perdite e abbandoni. […]. Punto focale di incontro delle immagini è il corpo […]. La posizione reale di questo corpo non è scritta in un’impostazione confessional né, come spesso, performativa, ma indagando le funzioni che definiscono una sorta di corpo simbolico. Si tratta di sovrapposizioni di immagini, tra autoscopia e paesaggio.
Mala kruna significa «piccola corona di spine», ed è un titolo che ben esprime il dolore sottile e penetrante che pervade ogni pagina […]. I versi «essenziali, incisivi, affilati» ribadiscono con ostinata asciuttezza il senso di perdita e di abbandono che l’autrice patisce sulla propria pelle dall’infanzia […]. Il sentimento amoroso vive in una sostanziale estraneità e incomunicabilità dei corpi […] Ma è soprattutto la visione di un sé mai riappacificato che rivela la cicatrice lasciata dalla «mala kruna», resa con indubbia icasticità e pregnanza da questi versi impietosi […].
Mala kruna dopo la sezione di avvio che riassume gli «anni di gioia» dell’infanzia […] prende proprio la forma di un viaggio – di una odissea di formazione […]. Mala kruna è un libro fatto di parole pulite, spesso affilate […]. È un libro pieno di cose che pungono, di piccole cose che pungono, e di ferite che inevitabilmente giungono da quelle cose lì, e si assommano quelle ferite, quelle spine, fino a formare una «corona», inevitabilmente piccola, di spine. Ma è proprio tale corona di spine a fare avvertito il sentire di Franca, tanto da renderla «ragazza arco», che «appesa la pelle a un ramo / cattura il vento».
Al di là dell’evidente richiamo al viaggio, annunciato nell’esergo dantesco, ripreso nell’allegoria del «treno» e ribadito nella sequenza dei capitoli, stazioni che vanno dall’infanzia alla giovinezza, al deserto che la giovinezza apre […], preme sottolineare lo stile alto di Mala kruna (Manni, 2007), levigato per successive passate, essenziale […]. «ago» è altra parola chiave del libro, che sposta sintomaticamente l’attenzione dall’eroe navigatore Ulisse (cui l’esergo riferisce), alla stanziale Penelope, a colei che tiene insieme e scuce di continuo il tessuto del viaggio, colei che di notte si toglie dal tempo della successione, per abitare l’intimità del tempo privato, che va verso il profondo di sé anziché più in là, nel mondo. Mala kruna, a ben vedere, corre su questo duplice binario: il tempo maschile del viaggio, della crescita come adattamento all’ambiente […] e l’immobilità, il tempo femminile che fugge dalle dita come sabbia […].
La sua poesia instaura un linguaggio parallelo, a volte reticente per riduzione rispetto al vissuto che riemerge, a volte gelosamente afasico quasi a salvaguardare l’unicità del proprio passato e l’anonimato delle figure che agiscono come sparring partner nel suo percorso poetico di formazione. […] il suo sismografo capta segnali dal buio della coscienza, cerca di decifrarli […]. Un sentimento analogo alla Casa dei doganieri è espresso nella quarta sezione, Un rudere la casa, una sensazione di perdita e di impossibilità del ritorno, la percezione di un tempo presente che frastorna la memoria e suggerisce immagini surreali, di derivazione pittorica oppure onirica […].
all’orizzonte un mare diverso
fermava il sangue sotto le unghie;
madre nera nell’isola
ti venne a fianco e ti disse del vento,
un cattivo tempo che non faceva
partire le barche;
poi fissò un punto sul muro
lungo la strada iniziava una festa
mala kruna, disse
piccola corona di spine.
e la ragazza arco
appoggia un piede in aria e congiunge
costellazioni di non generati
al grido che ha rotto ora le acque,
appesa la pelle a un ramo cattura
il vento, è una busta della spesa
di desideri altrui
svaniti in uno sguardo
nel treno del mio sangue
salite.
se avessimo la febbre insieme
staremmo come due cucchiai riposti
asciutti nel cassetto.
I piedi avanti e indietro come stracci
per fare le carezze ai pavimenti
o resteremmo nudi come chiodi
dimenticati in mezzo alla parete.
leggo stesa, il libro sul torace
è il mio terzo polmone
che s’apre e si richiude.
Come un anfibio stavo sulla sponda.
trapassano le date, si spengono
tizzoni nel cielo freddo, e tutti
si affrettano a coprire la paura
cercando di respirare in coro
al ritmo della specie. Tu soltanto
tra le coperte leggi e ti addormenti.
Questa poesia, apparentemente sottile e leggera, in realtà nasconde una forza di chiusura tenacissima, quasi maschile, e un’altrettanta crudeltà nei confronti di chi legge e di chi la avvicina. Chiusura e crudeltà, beninteso, patite in maniera molto forte dallo stesso poeta, quasi per assecondare una radice profondissima e inscalfibile, tragica. E sappiamo bene, del resto, che questa involontaria strategia, da non confondersi con più o meno programmatici trobar clus, si verifica solitamente laddove la ferita e l’emorragia è più copiosa e sanguinante.
Il libro ha un filo narrativo che annoda immagini di infanzia (con intelligenti cambi del punto di vista […]), all’apprendistato erotico-sentimentale e a una storia di perdite e abbandoni. […]. Punto focale di incontro delle immagini è il corpo […]. La posizione reale di questo corpo non è scritta in un’impostazione confessional né, come spesso, performativa, ma indagando le funzioni che definiscono una sorta di corpo simbolico. Si tratta di sovrapposizioni di immagini, tra autoscopia e paesaggio.
Mala kruna significa «piccola corona di spine», ed è un titolo che ben esprime il dolore sottile e penetrante che pervade ogni pagina […]. I versi «essenziali, incisivi, affilati» ribadiscono con ostinata asciuttezza il senso di perdita e di abbandono che l’autrice patisce sulla propria pelle dall’infanzia […]. Il sentimento amoroso vive in una sostanziale estraneità e incomunicabilità dei corpi […] Ma è soprattutto la visione di un sé mai riappacificato che rivela la cicatrice lasciata dalla «mala kruna», resa con indubbia icasticità e pregnanza da questi versi impietosi […].
Mala kruna dopo la sezione di avvio che riassume gli «anni di gioia» dell’infanzia […] prende proprio la forma di un viaggio – di una odissea di formazione […]. Mala kruna è un libro fatto di parole pulite, spesso affilate […]. È un libro pieno di cose che pungono, di piccole cose che pungono, e di ferite che inevitabilmente giungono da quelle cose lì, e si assommano quelle ferite, quelle spine, fino a formare una «corona», inevitabilmente piccola, di spine. Ma è proprio tale corona di spine a fare avvertito il sentire di Franca, tanto da renderla «ragazza arco», che «appesa la pelle a un ramo / cattura il vento».
Al di là dell’evidente richiamo al viaggio, annunciato nell’esergo dantesco, ripreso nell’allegoria del «treno» e ribadito nella sequenza dei capitoli, stazioni che vanno dall’infanzia alla giovinezza, al deserto che la giovinezza apre […], preme sottolineare lo stile alto di Mala kruna (Manni, 2007), levigato per successive passate, essenziale […]. «ago» è altra parola chiave del libro, che sposta sintomaticamente l’attenzione dall’eroe navigatore Ulisse (cui l’esergo riferisce), alla stanziale Penelope, a colei che tiene insieme e scuce di continuo il tessuto del viaggio, colei che di notte si toglie dal tempo della successione, per abitare l’intimità del tempo privato, che va verso il profondo di sé anziché più in là, nel mondo. Mala kruna, a ben vedere, corre su questo duplice binario: il tempo maschile del viaggio, della crescita come adattamento all’ambiente […] e l’immobilità, il tempo femminile che fugge dalle dita come sabbia […].
La sua poesia instaura un linguaggio parallelo, a volte reticente per riduzione rispetto al vissuto che riemerge, a volte gelosamente afasico quasi a salvaguardare l’unicità del proprio passato e l’anonimato delle figure che agiscono come sparring partner nel suo percorso poetico di formazione. […] il suo sismografo capta segnali dal buio della coscienza, cerca di decifrarli […]. Un sentimento analogo alla Casa dei doganieri è espresso nella quarta sezione, Un rudere la casa, una sensazione di perdita e di impossibilità del ritorno, la percezione di un tempo presente che frastorna la memoria e suggerisce immagini surreali, di derivazione pittorica oppure onirica […].