
Fedro Fioravanti, “Preghiera al mammut”
grideremo alla neve e alle nubi
 il tuo nome inconsistente.
Torna ai tuoi oscuri sentieri
 noi ti faremo luce dipinta
 nel buio non ti scorderemo.

grideremo alla neve e alle nubi
 il tuo nome inconsistente.
Torna ai tuoi oscuri sentieri
 noi ti faremo luce dipinta
 nel buio non ti scorderemo.

Ci sono sostanze che
 non si fondono, esplodono
 lasciando schegge di ciò che poteva essere.
Non è colpa di nessuno,
 chimica di cuori che non sanno
 stare vicini, senza incendiarsi.

ti ho covato
 in una tazzina d’acqua
 in un batuffolo d’ovatta
 in due vasi e poi
 nella terra, eri un’ombra gentile
 e lunghe braccia buone.

Dove andavamo di notte
 quattro venti cento moltitudini
 soli come cani abbandonati
E ora dove andiamo.

Dal centro del lago bianco cantiamo
 con gli occhi il luccichio di un’alba
 sorgere dall’orizzonte del muro.

una folla d’incoscienza
 al patibolo del tempo
 sceglierà per te,
 dolce figura che dondoli
 sul trapezio della mente.

In questa penombra i grandi fiumi si incontrano, le acque si mescolano, ci immergiamo nella morte fino alla vita. Le ore di veglia sono sciacquate nei sogni.

Marco el ndeva torno. I ghe gheva senpre dito «Chi che no ga testa ga ganbe», ma no jera vero el contrario: łu el jera fato pa métare on pie drìo queł’altro e via de caza, drìo on àrzare, el se gheva catà co ’l can. No i se gheva mai perdesto, łori.

E tornai a questi cieli,
 tra le luci del Nord,
tra le betulle bianche,
 trafitte nella terra.

Sono quell’oscuro riflesso
 di assenza tra milioni di corpuscoli
 oblunghi e recettivi:
 perenne presenza dello scisma
 imprigionato tra sbarre anatomiche,
 millimetriche.