Otto inediti di Mattia Bettoni (Lugano, 1995), da un libro di poesia di prossima uscita.
Le strade percorse al contrario non credo siano più le stesse, cambia ciò che induce ad attraversarle possiamo allontanarci, tornare indietro come pure baciarci per un semplice saluto o per un addio che non arriva e che ci porta nel basso ventre dell’inferno. Forse al ritorno ci stringeremo una mano mentre con gli occhi vi porgerò i miei saluti, gli ultimi, in silenzio. Fribourg - Lugano Se i ricordi sono incastrati tra i coni nel baratro della pupilla, so di esserci. Sono quell’oscuro riflesso di assenza tra milioni di corpuscoli oblunghi e recettivi: perenne presenza dello scisma imprigionato tra sbarre anatomiche, millimetriche. Divieto di catabasi Una morte che ci disturba: chiudiamo la finestra riducendo la sottile agonia che ci divide dall’irrazionale dal non numerico del mondo. Un discorso di apertura spalanca le porte di Casa ma «esercitar la nostra umanità» non svelerà le soglie della morte non smorzerà il rosso-blu dell’ambulanza in corsa, lei unica, con te fuori da noi verso la fine. Ipotesi iconografica o ecfrasi nel sonno Un teschio caucasico un omero stanco troppo presto digerito dai vermi decomposto futuro di un corpo marcescente. Non Vanitas perché la vita la vita forse non è caducità, è un ritorno lo schizzo di una simbiosi terrigna ipertrofismo dell’anima. «Ci ho provato spesso sai a focalizzare occhi e mente su un punto di campagna o strada di città». «Arriverai dove devi arrivare discesa o salita è pur sempre una linea retta da cui non puoi scendere. Senza indugio getta la foto non ci provare ancora il momento è passato». Se tutto è misurabile lo è anche questa fine: pochi decimetri di diametro sessanta metri di profondità tredici giorni di scavi due anni di vita. Quando l’amore cede il buio non risuona resta muto. E se speranza è la parola chiave nessuna porta si aprirà. Acrofobia … è grazie alla notte che i neon possono delineare le intersezioni di un mondo simmetrico composto da linee verticali di pendenza zero, viste dal fondo di un abisso. È vertigine assoluta che si nasconde dietro la comprensione, al di là del disincanto, quando scopri che dietro (è sempre dietro) ogni vetro chiuso a quattro mandate, c’è un ente caduco ed essenziale per ogni equazione che costituisce ieri e domani. È grazie alla notte che puoi fingere di non esserne parte integrante. È una sera qualsiasi, i tram non circolano e nel centro città brillano le luci dei commerci. Togliamo l’interrogativo: non serve più domandarsi dopo quasi settant’anni come stiamo e se ci siamo se la tavola è rasa o se resta qualcosa agli argini della strada. Non serve più aspettare siamo arrivati sul fondo ci siamo dimenticati non si può dire di cosa.