copertina poesie Verdiana Neglia
 dopo il parto notturno
 la gatta ripulisce con la lingua calda
 i cuccioli, gli occhi serrati 
 le orecchie in cui vibra ancora l’eco 
 del battito materno. 
 con piccoli richiami si affannano
 al latte, affaticati per la distanza 
 percorsa dal buio al suo amore.
  
  
  
 i banchi zoppi, incisi di epiteti
 i corridoi lunghi
 con i radiatori bianchi
 lasciati a ventilare dall’odore
 dei pasti riscaldati.
  
 fuori l’aria è elettrizzata
 la luce addensata come miele 
 ambrato nel barattolo,
 il campo ronzante di papaveri 
 spalancati all’estate.  
  
 all’ultima campanella correte
 con le scarpe di tela nell’erba 
 fino alla stazione insediata
 da piccioni e barboni.
  
 sanno d’ignoto le correnti
 dei treni che arrivano e partono –
 tendono una molla nel cuore
 che vi spinge sotto una parete 
 imbrattata dai graffiti
 a ridere con gli amici.
  
 così li hai persi negli anni –
 scomparsi nel crepuscolo
 lungo i binari morti 
 divorati dalla sterpaglia,
 nel vortice che ciascuno
 cova dentro dalla nascita.
    
  

 anche questo maggio 
 fiocchi di gelsomino innevano 
 il cortile, libellule come aghi 
 intessono scie lucide sul cancello –
 ma nessuna risata di bambino 
 rimbomba nella scala.
 quando torni dal lavoro
 controlli se nel cantuccio del portone
 c’è già il nido di una rondine –
 ma trovi solo il vuoto.
 c’è qualcosa di diverso
 solo che questa vita elettrica 
 non ha memoria a sufficienza
 per custodire un nome alle cose.
 tra qualche anno neanche saprai 
 cos’è quell’uccello nero
 che sforbicia il cielo.
  
   
  
 spietato il vento del mattino
 ha il sapore di labbra spaccate.
 un uomo trascina la valigia,
 l’ultima notte insonne
 sbavata attorno agli occhi.
 si volta a guardare la donna 
 e non sa a cosa potrà servirgli ora 
 conoscerne ogni neo, ogni rilievo 
 di vena palesato sulla pelle. 
 non startene al freddo, le dice. 
 lei lo osserva allontanarsi
 separare le onde nell’erba 
 affidata al volere del vento.
  
 la casa si è spogliata, 
 il silenzio si spande nel vuoto.
 la donna accende il fornello
 piccole fiamme che si accalcano
 come se conoscessero il freddo.
  
  
  
 l’albicocca infetta del sole
 libera mosche fiacche nell’aria,
 dilata il tempo sull’asfalto.                                                           
 con la bici fendi i mormorii 
 del vento e del grano, 
 pensi di andare lontano
 ma sei allacciata alla gravità,
 all’ombra che stai trascinando.
  
 quando ritorni a casa
 l’ombra si ritira dietro le tende,
 nelle crepe dell’intonaco.
 rimani tu in piedi, le mani 
 a penzolare inerti dai polsi. 
  
 sul tavolo i fiori si dissetano 
 all’acqua sporca.
  
  
  
 abbiamo visto la voce
 del fiume attorcigliato al canneto.
 la gola melmosa ingoia il chiarore, 
 restituisce specchi infranti.
 lo attraversiamo, il cielo 
 ci accarezza sott’acqua
 l’altra riva è ancora lontana.
 ti fermi a metà strada, mi giro
 tre sillabe il nostro nome
 pronunciate con agitazione.
 sei una bambina che ha imparato 
 a navigare il silenzio di una ferita.
 sorridi pensierosa – non parli
 hai già affidato ogni storia.
 proseguo io 
 in una resa al fiume, i sassi sotto i piedi 
 sempre più acuminati
 i polmoni aperti a ciò che non si vede.
  
  
  
 offriamo il bagliore della torcia
 alla bocca scardinata della chiesa –
 il bosco è arrivato prima di noi,
 ha nutrito il legno di ossa selvatiche
 intrecciato affreschi d’edera e caprifoglio 
 sulle mura, sul pavimento cosparso 
 di lumini e inni strappati.
 c’è odore di bagnato, 
 di foglie in decomposizione –
 sopra le panche allineate come costole
 il vento sospira nell’organo, 
 cantano per noi i grilli nel coro.
 all’altare, dove la luce si avventura
 dal soffitto aspetta una stella, 
 sposa lattea dall’abito impalpabile.
 dice: di tutte le creature è l’uomo
 a sollevare il velo agli occhi.
 venite a vedere di cosa siamo fatti.
  
  
  

 Foto di Verdiana Neglia 

Condividi: