Testi condivisi nel laboratorio MediumPoesia -Lampioni Aerei, Milano, 2019
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Spalancate dal sole al vicinato,
quarantaquattro coltellate sul costato.
Come un compito in classe, riga dopo riga,
sulla bella copia scrivendo infuriato
“non ho capito, non ho capito,
non ho capito…”
Ebony
Sarà per l’occhio cupo
girato l’angolo, che ti puntano addosso.
Per i fotomontaggi che coprono
di donne e peni giganti, le cabine telefoniche.
Per come stringono i polsi.
Perché ho pensato a quei tempi e le ho viste
distese, le schiave
respirare, riposare
tra un parto e un altro parto.
Torna sempre, la violenza
non va mai via. Si declina nel bacio,
nella danza; la lingua
del colonizzatore
si sfilaccia: urubú, cajú, jacaré.
Le parole sussurrate all’orecchio, minacce.
Il corteo che ha riempito le strade si disperde.
Per tutto questo
ma anche per i video che ho visto,
mentre sfiori i mobili e ti avvicini
e ormai sono vuote, fuori,
colme di immondizia
e silenziose, le strade calpestate dalla festa,
mentre mi si stringe intorno il tuo cerchio,
sono pronto al trionfo dell’Amazzone.
Ma l’espressione che si tende nel piacere
si irrigidisce. È una maschera che prima è come incisa,
poi si spezza:
non riesci neanche a muoverti
e non c’è nulla che lenisce
l’attrito del mio sesso.
Due occhi staranno a mollo
per tutta la notte muti, spalancati
fin quando dal tuo corpo scuro avrai chiesto acqua.
La fede
Quando la tua veste è questa
giornata bianca,
e per la luce, che entra,
sulla tua iride lucida osservo
me stesso,
mi sento
come la moglie in ombra
del musicista.
Che al buio è tutta
occhi illuminati a seguire la fede
attraverso i tasti, lungo le corde
scorrere e brillare.
Per un passo che lanci
verso la luce, sul pavimento
cade il mio seme.
Allora ogni goccia,
all’improvviso, nell’impatto
genera i vivi.
Come la pioggia ha dispiegato il rampicante
il tuo canto il mio ricordo
il tuo latte il mio stupore.
Foto di Giuseppe Conoci