Estratti dalla raccolta Scavi urbani di prossima uscita per Transeuropa, e dalla silloge inedita Le vene del marmo
da Scavi urbani ho ripudiato la via dove sono nato, famiglia amici animali domestici, ho rinnegato i petali di chi mi portava la rosa, strappando la prima pagina di ogni libro con incisa una dedica. Ho negato il nome e il cognome, stracciato il diploma, gettato i titoli nel camino. Ho annacquato il sangue fino a renderlo acqua piovana, invertito sesso con sesso, scambiato palpebre e unghie, immerso la pupilla nel sale dei ricordi. Ho sradicato da me stesso me, fino alle ossa… cercavo la voce che dice io, io soltanto oltre l’eco dei padri e delle madri l’eco di tutti i figli nella stanza vuota. Frequento treni come pensatoi paesaggi sfumano tra bisbigliati sonni e alito che sa di fumo, storie d’amore e noia libri labbra cellulari ipotesi di vite sotto le giacche; riflessa sul finestrino mando a memoria la storia tra me e te. Sul treno nulla da perdere, nulla da lavorare. È solo una parentesi che si apre, l’inizio e la fine di ogni galleria A San Lorenzo e ogni volta che come te nella stellare volta cercavo coincidenze a quante artificiali intermittenze scambiandole per comete ho affidato i miei sogni? Ode del punto e virgola (in forma di epilogo) Avrei bisogno di un punto fermo, andare a capo, prendere fiato, ricominciare (se con la lettera maiuscola non so) ma tu aggiungi ancora un’altra virgola, un dettaglio; come quando lasciasti da me (per distrazione oppure per disgrazia) lo spazzolino col cappuccio blu, un ombrello rotto, il libro senza copertina –i puntini di sospensione sono cosa d’altri tempi e tu non sai deciderti– scorro di nuovo le nostre lunghe liste, i miei pro e i tuoi contro, i massimi sistemi le minime attenzioni, il tempo la distanza, lui lei l’estate, verrà l’inverno e non potremo scaldarci, sarà maggio e ci riabbracceremo, passeranno i mesi i maglioni bucati le infradito, i nuovi nomi da imparare, gli odori che dimenticherai (sommerso dalle nostre scuse l’Oceano Atlantico diventava l’ultimo dei problemi) E forse c’è tempo, hai ragione tu, andrà come andrà come deve andare, fino a capire che un mondo intero sta nell’equilibrio fragile del punto sopra la virgola, che l’alba vista da qui ha lo stesso colore del tramonto, mentre ogni parola a modo suo precipita al fondo della pagina. da Le vene del marmo Disiecta membra […] dal buio sei uscito come tubero con movimento pelvico tellurico la goccia scoscesa sulla coscia piange passate simmetrie. * […] come erma immobile fissavo l’altra via: chi passa incida su di me un verso di sentiero, apotropaico. * […] madre è la cava – ogni filone un figlio – muore per sottrazione, eternandosi. * un corpo morto lo dicono di marmo, ma quello che rimane in pasto ai vivi è scarto di lavorazione. * se del mondo rimane qualche ciocca impressa nella roccia e non c’è altra vita oltre le statue tu a immagine di chi fosti creato? Ogni vena del marmo mi dicesti porta qualcosa in salvo: ci mettono millenni a farsi cicatrici (eppure noi qui stasera si è in due sull’argine feriamo e siamo feriti non aspettiamo altro) forse è possibile accelerare il processo, marmorizzare (rincasando dai lembi ancora aperti ti sento scorrere) Foto di Isaia Crosson