L’ultima parola sul pane è l’unico libro attualmente disponibile in traduzione italiana di Fuad Rifka, poeta siriano libanese scomparso nel 2011. Pubblicato per la prima volta nel 2008 dalle Edizioni del Leone, con la traduzione di Piero Bruno, Adnan Haydar, Paolo Ruffilli e Aziz Shihab, è stato riedito di recente da AnimaMundi edizioni, con un pensiero di Tomaso Tiddia, tre ritratti fotografici di Dino Ignani, una nota di Paolo Ruffilli, un’intervista di Ottavio Rossani, e un ricordo di Rossana Abis, nella collana “Cantus firmus”, a cura mia e di Rossana Abis.
La poesia è come il pane: semplice e sacra. È un filo elettrico in grado di connetterci con l’infinito, con la natura, con l’anima del mondo. È come la preghiera dei mistici, senza più lingua di appartenenza, senza marchi di religioni superiori, senza confini. (Fuad Rifka)
Fuad Rifka è l’interprete di una poesia di raffinata povertà, scintillante di immagini in corsa rapida di verso in verso e gonfia di pensiero sfilacciato come nuvole dai venti rossi di sabbia, in cerca di una libertà strofica e metrica che rinnova oggi dall’interno la grande tradizione della lirica araba. (Paolo Ruffilli)
Perché un’“ultima parola sul pane” se non perché il pane ha sempre parole nuove? Così la poesia, se nasce dall’esigenza, tutta umana, di cibo, è sempre nuova, rinasce continuamente: la spiga è il pane e, nel pane, è trasfigurato il grano. […] (Tomaso Tiddia)
Se deve essere un elemento della vita, allora deve essere il più semplice, umile e sacro, come il pane. Perché gli ultimi saranno i primi. E perché l’ultima parola è quella che il poeta cerca per tutta la vita come se obbedisse a un giuramento, per lasciarci infine il suo testamento di fede, una resa totale al silenzio, vero luogo della rivelazione poetica […]. (Rossana Abis)
La capanna del sufi 2. Dal sorgere del giorno ama la poesia e resta lì da solo. Per quarant’anni dentro la capanna, pregando e digiunando e salmodiando i cantici. Poi, maturato, i suoi occhi vedono la luce ed eccolo poeta: dimenticando la poesia. * Percorso Nella nostra infanzia apriamo la porta e dormiamo come riposa la preghiera tra le foglie di Dio. A mezzogiorno chiudiamo la porta e poi partiamo nei venti rossi di sabbia, dentro la bufera, dietro alle tracce del diluvio e del miraggio. La sera infine l’ombra si accorcia e si cancella come un giorno d’estate nel cuore dell’inverno. * Domanda Nell’ora che il corpo sarà terra, la terra sabbia e polvere la sabbia, nell’ora in cui ogni cosa sarà polvere, perché temere? Finiremo così, naturalmente, come un fiore di campo, come un fiore che dice: “È già tempo di neve, amico mio, e le stagioni prossime a finire.” Siamo reti sospese sull’abisso. * Segno La sua poesia col tempo si consuma, diventa mormorio, traccia e segno... e, nelle vene dell’alloro, soffio di vento. L’uccello del cardo e la ciotola della sorgente leggono quel segno. * Scrittura Sopra la terra il frutto, giunto al punto di essere maturo, è felice di cadere. Proprio come sulla carta la poesia: si accosta dolcemente, si appropria della penna, si imprime sopra il foglio e poi scompare. Fuad Rifka, L'ultima parola sul pane, traduzione di Piero Bruno, Adnan Haydar, Paolo Ruffilli e Aziz Shihab, AnimaMundi Edizioni 2018 Foto di Rossana Abis