copertina poesie Rosapia Araneo

Rosapia Araneo, “Tengo tutto dentro”

Alcune poesie di Rosapia Araneo dalla silloge inedita Tengo tutto dentro

di te porto la forma 
a bottiglia rovesciata
e dal ginocchio in giù, la magrezza
le gambe secche secche
che ti guidarono su per la montagna.
Eri la putuara, ‘ze Munachecchia.
Scrivevi solo nome e cognome e
per il paese consegnavi
felicitazioni e condoglianze.
Tuo figlio, la foto in cornice rossa,
falce e martello sullo sfondo
un treno che andava lontano.
Piatti di ravioli in mappine fiorate
provole e nella mano a pugno
prendetevi quello che volete
di te porto le gambe secche
e cose di cui ancora cerco il nome.




di ghisa nera
con due bocche, una grande
per la legna e
un'altra più piccola
per la cenere.
Scaldava una stanza sola
quella con i vetri coperti dalla condensa.
In aprile si smontava
si ridava il bianco ai muri e
la cucina tornava al suo posto.
Soltanto questo cambiava
insieme ai centimetri in altezza
e alle foglie della calla.




sono nata di martedì
nel mese delle rose e della Madonna.





ti ho covato
in una tazzina d'acqua
in un batuffolo d'ovatta
in due vasi e poi
nella terra, eri un’ombra gentile
e lunghe braccia buone.




devota alla causa
davanti al tavolo della cucina
acconci i manderini, le arance
buone del camion della Calabria.
Sui tappi dei vasetti di vetro
in corsivo nero – sugo di tonno
sugo senza carne
fichi del 2024
sposti e stipi reliquie
con la sapienza di un gioco ad incastro
suggelli con nome
indirizzo numero di telefono
quanta fatica far passare
lo scotch su ciò che non dici.
vaporosi e prepotenti
con i loro colori e la fibra pungente.
Quello nero con i ricami, il più maestoso.
Una matrona dovevi sembrare,
con l'opulenza dei seni
gonfiati d’improvviso.
La tua eredità
un’urgenza costante di calore.




all'inizio eri Gioconda
madre di famiglia in visita di cortesia
le figure, faccia mia
che deve dire la gente?!

la gente poi
te la sei portata dentro.




la terrazza era il refettorio
la calla Silvana, figlia del bidello
il geranio Maurizio, bambino delle tabelline.

E tu, cuoca e maestra
minestravi e
col gesso segnavi gli
anni che ti separavano dal tuo

un giorno sarai felice.




avevi nascosto piccole uova
nella terra

non aver paura
– la scia che luccicava sulla mano




Il tuo bene riposa
in un guscio di noce,
a metà
una giacchetta con le toppe sui gomiti
la sigaretta tra le dita
né orologi né fede
tengo tutto dentro

l’acqua calda per sciacquare il viso
in un pentolino nero
quando tutto doveva ancora venire
buona festa a te.




era caduto un mattino d’estate,
tra un filo d’erba
e un foglio bianco.

Argenteo, tondo
come una crocchia su una nuca antica.

È ancora vuoto -
vi metterò in cova
un’altra me.




Foto di Rosapia Araneo

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