E videro la voce
(Esodo, 20, 18)
Scomparendo ritrovasti le assi, le coordinate del diagramma che fu cerchio alla visione, il planisfero del dolore recava segni ascisse e trafitture, l’indeterminato lo girava paziente tra le dita a scoprire nella mappa le ferite della vita. Tutto è compiuto ancor prima che accada. Cos’è accadere se non l’orma che precede il passo che affonda? Combacia sempre la forma col peso di un’ombra. Quel che deve arrivare deve venire da sé come eco che giunge e ritorna fedele alla fonte: temere che la mano non scorra lungo la linea – confine che divide lo spazio per unire il corpo alla voce. Le cose giungono dal nulla al momento più opportuno non cercarle è il segreto della loro apparizione. La parola magica che schiude la porta è dimenticanza quando cessata è ogni speranza e oblio è l’unica memoria delle cose perdute che ritornano. L’attore è stanco si accascia sulla scena, ogni oggetto sul palco ripete le battute al posto suo. Stanchezza dei mondi caduti: risorge solo ciò che parla senza ricordare. Siamo creati da gesti ripetuti all’infinito a tempo definito tra l’uno e l’altro il sonno in cui non siamo, la legge che è natura il punto di sutura tra noi e la morte. Rossana Abis, La parte mancante, Smerilliana, n. 22, 2019. Un'altra silloge, Voci della presenza, è apparsa con una mia nota sul mensile Poesia, XXIII, n. 326, maggio, 2017. Foto di Rossana Abis