tutta l’acqua resterà solitaria Io proseguirò sapendo che in fondo il pozzo si capovolge e cadrò un’altra volta e di nuovo dovrò ondeggiare nella clessidra fino agli occhi di mio padre il giorno che sono nato. Ho sentito la stanza bianca ondeggiare, le tende immobili e scure ruggivano al solo passo. Di fronte alla finestra, slegati correvano i gatti biondi del grano e noi facevamo l’amore. Era una casa incastrata nel sasso un dente crepato alla radice. La pianta del fico piangeva a rigagnoli tutto il suo latte di madre. “Volevo dare morti calme unire le mani essere la ciotola dei nemici.” Continuerò a girare intorno alla mia infanzia come quei gatti che stanno davanti alle case anche dopo che il padrone ha fatto le valigie e è andato via. Sicuramente è successo, forse anche più di una volta. Stiamo andando al ristorante, è estate. Ad un certo punto mia madre fa fermare la macchina a mio padre. Scende e raccoglie alcuni fiori. Poi se ne torna nell’auto tutta contenta e me li mostra, dicendone il nome scientifico e qualche leggenda che li avvolge. È un ricordo vecchio di almeno vent'anni, forse venticinque. Dopo anni di vagabondaggio, ho trovato questo. Chi l’avrebbe mai detto: in realtà cercavo la luce, l’aria, l’odore di un preciso pomeriggio. È come se un albero dentro di me stesse cercando un centimetro di terra buona. Anni di ricerca fra vene di ghiaia e argilla. In superficie, una fame metodica e meticolosa, anche se immotivata. Mai si sarebbe detto che serviva un ricordo, uno solo, per dare inizio alla fioritura. Difficile ma importante è ogni tanto ricordarsi che la nostra vita in fin dei conti non è poi tanto diversa da quella di una corteccia.
Foto di Samuele Bellini