Fuori c’è il sereno e fa freddo ma tu dormi nella camera, cresci nella camera del sangue dov’è buio caldo liquido e non c’è spazio per le favole che conosco, solo una resa al mistero. Ti aspetto con la fata dei limoni. Nel vuoto di carne c’è tutto l’essenziale per nascere, il colore e il profumo la forma dei gambi e il richiamo futuro alle api svegliano la notte di tua madre e del tuo nome ramificano i sogni. L’idea cresce a millimetri nelle pareti del corpo e mormora la terra. La radice lenta fruga le zolle che ci inghiottono i piedi, ancore fragili alla bufera in arrivo. La tua costruzione su questa riva miete già insonnie fatte di molte perdite nausee e gonfiori con ricorsi a più consulti, un apprendistato che si esegue sulla pelle. Il primo suono percepito ricorda un’eco di vita in fondo al mare, poi le acque si rompono come nel racconto più antico di una liberazione e si diviene terra promessa. Usciamo presto la mattina per il lavoro, diciamo ma è per la fotosintesi, a pochi passi dal portone la camera del sole sulla pelle ancora di notte. L’attesa rivive davanti alla finestra nei piccoli abiti di fata che asciugano sullo stendino, pentagramma di note disposte alla prima esecuzione.
Foto di Chiara Signoretti