Questa mia breve prosa è uscita di recente nel libro Franco Loi. Il milanese che parla al mondo, Testi raccolti e curati dalla Biblioteca d’Ateneo della sede di Milano, Introduzione di Giuseppe Lupo, Università Cattolica del Sacro Cuore sede di Milano, EduCatt, Milano 2025.
La sola forma di testimonianza, pensando a Franco Loi, è per me un fedele atto di trascrizione su questa pagina bianca: una dedizione pura, fisica, alla sua poesia. Ma quale testo scegliere? Cercando i suoi libri nel caos di un trasloco mai del tutto compiuto – è questa forse l’esistenza sulla terra – ho riletto una sua dedica che mi ha commossa. E subito mi hanno raggiunto i suoi occhi miopi, che fissavano sempre diritto, negli occhi, scansando ogni timidezza e indugio come un bambino che ti invita a un tratto nel centro del gioco, nel centro della vita, e non puoi rifiutare, non puoi deviare, ti ritrovi dentro quel movimento di amore a cui Franco tornava ogni volta, da qualsiasi angolazione il discorso iniziasse, come seguendo una forza naturale, che ti riporta sempre all’origine, all’«amor che move il sole e l’altre stelle», e noi, come parte del cosmo. Questo verso del Paradiso che Franco citava spesso, ha schiuso il suo significato solo grazie alla sua voce. Nelle aule scolastiche e universitarie restava in alto, nello spazio stellato. Lo comprendevo con la mente, la sua luce non filtrava nel mio corpo. Questa scheggia luminosa della Commedia posso ripeterla ora come una preghiera: quell’amore muove naturalmente anche me, mi attraversa. A quella forza posso tornare ogni volta che mi ritrovo chiusa nella gabbia dell’io, e tutto si fa difficile. Pronunciando quel verso, ci si ricongiunge «al sole e l’altre stelle», riverbera in noi lo stesso amore originario. E ritrovo quel nucleo di gioia che accendeva gli occhi di Franco, nella loro dolcezza cerchiata dagli occhiali. Torno ai suoi libri, ma non riesco a scegliere un testo. Posso però riconoscere tutta la sua scrittura come un gesto che schiude una soglia attraverso cui la realtà si rivela nel suo quotidiano mistero. Come nella camminata in via Casoretto, in quella percezione fisica dell’eterno in cui siamo immessi, insieme ai vivi e ai morti. Questo episodio fondamentale da cui prende vita Stròlegh e che si può leggere anche in Da bambino il cielo, ho potuto ascoltarlo più volte dalla sua voce. Girato l’angolo di via Teodosio, viene investito da una fortissima scossa, simile a quella di un fulmine. Ogni suo passo apre un vortice di energia che coinvolge tutta la realtà nella sua festa, come in una danza che si espande nell’aria: «E mí che ’l pass dansàss / slargàss de l’aria». Il ripetersi dello stesso suono (àss) in tre parole contigue, apre un altro spazio, ha un effetto simile a una formula magica di fronte a una porta. Il passo stesso traccia un arco, una soglia, racchiude in sé, come sosteneva Pina Bausch, tutta la danza. A muovere Franco è una profonda ebbrezza provocata dall’immersione nella materia del reale, un’esperienza che rinsalda così pienamente nell’esistenza da trapassarla. Come racconta nella sua autobiografia, la legge di Lavoisier che riconosce l’eterna metamorfosi diventa un ingresso in un’altra dimensione in cui una certezza fondamentale lo accoglie: «non sarei mai stato solo nel mondo». Questa certezza ha un radicale potere di trasformazione, attraversa ogni cellula, si spalanca nel passato come nel futuro, sospende lo scorrere del tempo, riportandolo all’istante di luce presente. È come se Franco abbia mosso i primi passi in un’altra terra che è questa nostra terra, nella sua essenza illuminata. Infante senza età, sorretto dalle mani di un amore grande quanto il cosmo, Franco cammina nelle vie di Milano, nelle vie del mondo, nello stupore abbagliante, intatto, dei primi passi mossi dall’uomo in posizione eretta. È forse proprio questo che con l’opera della sua vita Franco Loi ci lascia, un «cammino nell’eterno» attraverso le strade di ogni giorno. Una testimonianza perché possiamo anche noi, una volta maturati fino all’infanzia, affidare ai piedi il peso, radicarci, alzare un piede nell’aria, in volo, e ritornare. Ritrovando il nostro Angel, come una parte di noi.
Franca Mancinelli
Foto di Raffaella Ballerini