Spiccioli di cielo
e un vento che fa tremare i quadri.
Divorata dalle mosche della letteratura
l’ultima luce del pomeriggio
scuote la coda
docile come il tuo cane
pettinato e devoto sulla soglia.
Ogni discorso scritto è un naufragio in miniatura.
Note a margine di un Messico siciliano
Sciclica
Il passato allaga le strade
di questi musei delle porte chiuse.
Il regno del lutto
le armi della luce
la scuola antica della morte.
Ci fu un tempo che scrivevo lettere
ci fu un mondo di voci
dietro i vetri rotti di queste finestre.
Le città che crescevi nella voce.
Secoli che non puoi dire.
Questa terra ha la febbre:
il sole zappa e sulla mappa
non esiste questa contrada.
La fatica di vivere
nell’eterna controra.
Dove vivono ora le mie muse?
Prendi la prima strada a salire.
Troverai un silenzio più vasto di noi
e imparerai la religione del Sud.
Abituati a sparire, taci.
Perduto ho ogni cosa innocente,
anche in questa voce, superstite
a imitare la gioia.
(Salvatore Quasimodo)
La morte alle due e quarantanove
nella piazza di Pachino
socchiude due porte.
Controra, ultima ora.
Governare il respiro
amministrare vertigine
silenzio
veglia
grido.
Il matto del paese
obbedendo alla didascalia brucia imprigionato nelle scarpe
su una panchina a galla nel vuoto
e parla da solo all’ignoto.
Osservo la scena infinita
come pregando.
Prendo appunti e non rido.
Psicologia, cabala
errori lunghi una vita, topologia.
Un cane, un pugno di sassi.
Il sole con le sue mosche
a picco sulla carne muta
ti ricorda che non duri.
Poi un giorno anche la verità della fine
si staccherà da questi muri.
Foto di Alessandra Calò