
Le gole del Todra
siamo calati a picco da un naufragio pre-cambriano. È come camminare su un fondale prosciugato dove un fiato fatuo muove l’aria e le voci inseguono gli uccelli che frullano le ali rasenti la roccia.
© foto di Francesca Perlini
siamo calati a picco da un naufragio pre-cambriano. È come camminare su un fondale prosciugato dove un fiato fatuo muove l’aria e le voci inseguono gli uccelli che frullano le ali rasenti la roccia.
Hanno pupille nere perfette, chissà se hanno altalene. Giochiamo a specchio con loro senza abbassare i finestrini, li conquistiamo con l’imitazione dell’elefante e del pesce. Poi lentamente l’autobus, lambito dal sole, ci sorpassa e si perde nel traffico, controluce.
Oggi, se qualcosa non brilla sugli schermi non è, almeno così spesso ci sembra. E invece il saggio di Agamben ci aiuta a riposizionare lo sguardo, perché il contemporaneo è cecità, non è visione. Il poeta non è Calcante, non è colui che vede il futuro, ci illumina, ci guida. È uno che nel buio cammina. Nel buio, con le mani avanti tasta e cerca e quindi sbaglia, cade, finisce nel pozzo, cade nella faglia, ne riesce e racconta qualcosa, ma è nel buio, balbetta
I nomi si hanno per le cose che restano
non mi sono più chiesto quanto sole renda una giornata
il tavolo con le carte da gioco, l’orologio sul muro.