Questa recensione al libro di poesie di Luigi Trucillo, Darwin (Quodlibet, 2009), è apparsa sulla rivista «Atelier», n. 69, 2013.
Un occhio sprofondato nella natura, intento a sorprendere attraverso la lente di un microscopio, l’impercettibile fluire della vita, e insieme a cercare “tastando”, immergendo le mani nella materia, disegnano il paesaggio che si apre, tra «minuscoli slittamenti» e metamorfosi, nel sesto libro di versi di Luigi Trucillo, Darwin (Quodlibet, 2009). Forse l’invito alla base di questo originale viaggio attraverso la vicenda biografica e conoscitiva di Charles Darwin è quello di oltrepassare i confini dell’individualità e andare verso l’aperto, la coralità, l’indistinta appartenenza alla specie e ancora più indietro nell’origine, verso il movimento continuo della natura, in quell’humus dove ogni cosa ricomincia. La figura di Darwin e le sue teorie sono assunte non come semplice pretesto tematico, ma da una necessità interna che ha plasmato la lingua (come sembra suggerire anche La lingua dei vincitori, la poesia che introduce la prima e più incisiva parte del libro). Così la ricerca di una moltitudine, di un noi a cui abbandonarsi e cedere è l’antidoto a un dolore individuale, a una perdita (per Darwin della figlia Anne) che affonda nella natura. Come nel cosmo non c’è un punto vuoto e fermo, ma soltanto varchi per il futuro, per nuovi inizi, così il verso di Trucillo tende a un flusso continuo che incanta e avvolge in sé anche zone più opache e informi. La sua è una poetica della brevità e della precisione che obbedisce alla dinamica continua, a quel movimento oscuro della materia che attraverso variazioni, impercettibili scarti, porta avanti la lenta e incessante catena della specie; così il suo verso sinuoso, graficamente non allineato nella pagina, brevissimo e spesso di una sola parola, non di rado procede «nella potenza segreta / di chi sbanda / e comincia / una scena imprevista / al vecchio schema». Ciò che genera spesso un’energia, un brulicare luminoso di vita, è la rottura di un’apparente forma compiuta e stabile, per rivelarne il sostrato di materia, l’essenza originaria («a Londra / la lenta forza / che rompe le superfici / riscoprendo nei tigli / l’ombra ruggente / dei grandi animali»), oppure il sorprendente incrocio che avviene tra la quotidianità e la specie, la biografia e le ere, la concretezza degli oggetti e la lucida, aerea distanza della scienza. È forse in questa sovrapposizione tra ciò che è individuale e umano e ciò che è spinto oltre ogni confine, ogni nome, il filamento organico, la forza dirompente e semplice di questi versi: «sabbia, / carbonato di potassio / e limpidezza / per dire vetro, / l’unica casa / che può restarmi dentro. / Ci manca il fuoco, / la fiammella che sposta / nel cristallo / la vecchia forma / indebolita. / […] E questo azzurro spostamento / è la tua vita / variabile / in viaggio / dentro un granello di sabbia / con le vecchie scarpe / spaiate». Anche la struttura della prima e omonima parte del libro sembra costruita su un percorso che dall’immersione nella materia, lentamente, attraverso il fondamentale trauma de La morte di Anne, risale verso la vita, la felicità che può splendere nel quotidiano. Nella seconda parte del libro, la risalita approda al nostro contemporaneo, visto da un distacco ironico simile all’ultimo Montale, tra epigrammi e favole scientifiche.
da Darwin Il metodo Davanti al non ancora l'obiettivo della scienza è la predizione. Presumere è già una distanza percorsa controvento, un passo in avanti che tasta lungo un sentiero infinito. Chiamalo arbitrio il sibilo dell'acciaio nella brezza della trivella che sembra scomparire come un luccichio bianco di gioia, ma il punto che stano inducendo si applica a altri punti persi nel cosmo con la felicità di un'ipotesi esatta come un metronomo. Adesso ascoltami: sabbia, carbonato di potassio e limpidezza per dire vetro, l'unica casa che può restarmi dentro. Ci manca il fuoco, la fiammella che sposta nel cristallo la vecchia forma indebolita. È il percorso di un soffio, il futuro che slitta senza più stanghe impastando l'aria con l'argilla. E questo azzurro spostamento è la tua vita, variabile in viaggio dentro un granello di sabbia con le vecchie scarpe spaiate. Considerazioni di Darwin sul caso Ogni parete del mondo è la vernice, ma il caso è una sfumatura. Al culmine del processo che si muove verso la perfezione assesta al fenomeno che avanza un lievissimo scarto, il colpo di pennello che si apre verso la variazione. Il tremito della luce è un difetto? E l'aria allora, e il sole che ampliano il pigmento della legge con uno sbaffo che attenua la presa chiusa del colore? A volte ciò che è nuovo si scatena da una macchia laterale, basta osservarlo su una nuova tela dove il bianco stesso si stempera nella potenza segreta di chi sbanda e comincia una scena imprevista al vecchio schema.
Foto di Camilla Buzzai