John Poch, “Cantiamo, prendiamo il coltello”

Alcuni testi scelti dall’unico libro attualmente disponibile in traduzione italiana del poeta statunitense John Poch (Erie, Pennsylvania, 1966), Cantiamo, prendiamo il coltello, antologia delle sue raccolte con alcuni inediti tradotta da Pietro Federico, in uscita per Ensemble.

L’averla piccola (o uccello impalatore)

La poesia stringe il ramo morto
che sceglie l’uccello predatore.
O la preda in sentinella.
Questa è una storia di ascolto
dato che i rovi secchi nella boscaglia
benchè già morti potrebbero 
essere in attesa della carne di altri.
E questo è un canto che ripara
il silenzio, un canto dalla terra di sotto
e dal vento che percorre le spine del cactus
che costringe la locusta impalata a risplendere.
Chi inchioda lo scarabeo spinato
sul filo spinato a mo’ di icona
appesa in onore di una fame santa?

La poesia la trovi in solitudine,
vola più bassa di quanto immagini.


Shrike

Poetry clutches the dead branch
a predatory bird prefers.
Or prey on the lookout.
This is a story of listening
as dry thorns in a thicket might 
wait beyond their own death 
for another flesh. 
And this is a song that fixes
quiet, a song of earth below
and wind across the cactus spine
compelling the locust to shine.
Who pins the barbed beetle
on barbed wire like an icon 
honoring Saint Hunger?

Poetry is found singly,
less buoyant than imagined.




Eco 

Non riuscivo a capire ciò che disse di sé e me.
Mi disse di non aver modo di renderlo più chiaro:
Preferirei morire di sete piuttosto che essere abbracciato da te. 

Tienimi tra le braccia, dissi. La sua eleganza fu come mi esaudisse 
e il suo rifiuto me lo rese ancora più caro.
Non riuscivo a capire. Me lo disse 

(ed era cosa irripetibile) due volte e mi distrusse.
Lo volli riecheggiare come un dubbio, perché fosse meno amaro: 
Preferirei morire di sete piuttosto che essere abbracciato da te? 

Almeno guardami, pregai. Tieni quei tuoi occhi su di me! 
Mi sbeffeggiò guardando nello specchio, continua a sognare, caro. 
Non riuscivo a capire quello che mi disse, il perchè. 

Forse la nostra somiglianza, non l’amore, 
aveva preso il controllo su di me. 
Poi qualcosa si voltò e parlò in me, forte e chiaro: 
Preferirei morire di sete e dopo essere abbracciato da te 

è ciò che avrei dovuto dire perchè smettesse di scappare lontano. 
Quest’errore che entrambi facciamo e che si ripete invano. 
Non riuscivo a capire ciò che disse di sé e me.
Preferirei morire di sete piuttosto che essere abbracciato da te. 


Echo 

I couldn’t understand the thing he told me. 
He said he couldn’t make it any clearer:
I’d rather die of thirst than have you hold me. 

Hold me, I said. His elegance consoled me, 
and his refusal made him all the dearer.
I couldn’t understand. The thing he told me, 

twice (how could anyone repeat it?), bowled me 
over. I put it to myself, and queerer:
I’d rather die of thirst than have you hold me? 

Just look at me at least, I wished. Behold me!
You wish, he mocked and looked toward his mirror. 
I couldn’t understand the thing he told me. 

Perhaps our likenesses, not love, 
      controlled me. 
Then something turned and spoke in me. I hear her: 
I’d rather die of thirst then have you hold me 

is what I should have said to draw him nearer. 
We have in common our redundant error.
I couldn’t understand the thing he told me: 
I’d rather die of thirst than have you hold me. 




Migrazione 

Ti stai nascondendo in un libro? Voglio leggerlo.
 Come l’amore di Pieter de Hooch per gli scuri socchiusi, 
sorseggi il tuo bicchiere d’acqua all’ombra della tua frangia, 
all’ombra del tuo libro, una sentenza
contro l’arroganza di ciascun decennio.
Sei così pulita che a occhi aperti sogni le lenzuola
senza dirlo a nessuno. Le tue mani sono due uccelli magici: 
uno per garantire grande conoscenza geografica e uno
per tuffarsi ed emergere dalle correnti
per confondere i tuoi nemici. Se queste ali si uniranno 
sotto forma di preghiera, di nido o di una tazza d’aria, 
certe case e quartieri esploderanno.
Lascia che si uniscano alla base della mia schiena. 


Migration 

Are you hiding in a book? I want to read it.
Like Pieter de Hooch’s love of the half-open shutter, 
you sip your glass of water in the shadow of your bangs, 
in the shadow of your book, a judgment
against the fact that every decade is arrogant.
You are so clean you daydream of sheets,
telling no one. Your hands are two magic birds:
one for granting great geographical knowledge and one 
for plunging in and out of streams
to stymie your enemies. If these wings come together 
in the form of prayer, a nest, or a cup of air,
certain houses and neighborhoods will explode.
Let them come together in the small of my back. 




Morte 

Quando sono nata, sono morti tutti.
Non mi rifaccio mai il letto e qualcuno è sempre
dietro di me, a raccogliere ciò che faccio cadere.
Sono una trascinatrice di uomini.
Ho perso le chiavi di una tomba a mezzogiorno.
La mia impronta è una singola piuma nera
o un petalo caduto da qualsiasi cosa (scegli un colore). 
Amante della formalità, sono in bianco e nero.
Vesto da sera, scalza e distratta.
Ho freddo quando mi accendo.
Il cavallo di razza si spezza una gamba in un fosso e fa il mio nome. 
Sono lenta come un proiettile consumato.
Temo solo lo specchio.
Tatuaggi luminosi di persone insignificanti mi decorano 
        i polpacci,
mi pavoneggio sulla spiaggia come fa una rinomata lottatrice 
che da sempre ha praticato le cadute.
La fotografia è il mio bagaglio.
Mi piace nascondermi sotto il panno nero
mentre tutti aspettano un’esplosione.
Quando pregano aggrappati ai miei tendini è la mia idea 
        di divertimento.
Me ne sto sdraiata il più possibile 
in un nido di ossa finché non mi sento abbastanza in colpa 
da alzarmi e scrivere un epitaffio.
Tolgo il fiato.
Tutto quello che fece mio padre fu uno scherzo. 
Mia madre è un flauto, un soffio.
Ho desiderato sposare Amore per così tanto tempo. 
Ma non ci fu verso di convincerlo. 
Quando morirò, tutti vivranno per sempre. 


Death 

When I was born, everybody died.
I never make my bed, and someone’s always
coming behind me, picking up.
I’m a leader.
I lost my keys to a tomb at noon.
My footprint is a single black feather
or a petal fallen from anything (pick a color).
A lover of formality, I’m black and white.
Black tie, barefoot and sloppy.
When I’m on fire, I’m cold.
The broken-legged Lippizaner in a ditch complains my name. 
I’m as slow as a spent bullet.
I fear the mirror only.
Bright tattoos of unremarkable people decorate 
         my calves,
and I strut down the beach like a famous wrestler 
who has practiced and practiced falling. 
Photography is my bag.
I like hiding under the black cloth
while everyone waits for an explosion.
Prayer to my sinews is my idea 
          of fun.
I lie down as much as possible 
in a nest of bones till I feel guilty enough 
to get up and write an epitaph.
I rhyme with breath.
Everything my father did was a joke. 
My mother is a flute, a fluke.
I have wanted to marry Love for so long. 
She won’t have me.
When I die, everyone will live forever. 




Scuola di mosaico 

Dapprima i più giovani decostruzionisti tra noi
sono fieri di passare i loro giorni a rompere
grandi lastre di ceramica sfumate con le cromie di mille vini 
mentre i maestri scalano i soppalchi
fieri d’oro e dorature, allungandosi verso
l’allacciatura di un sandalo o le altezze di un’aureola.
A malapena ci rivolgono la parola. I loro pennelli sussurrano 
come sarcofaghi di imperatrici del secolo scorso.
Qualcuno di loro addirittura disegna i famosi portici
di Bologna mentre un altro miscela zafferano con tuorlo d’uovo, 
per realizzare Un falco che interrompe una lotta tra galli,
e altri artisti ancora ricavano fuoco dal marmo
per la placida ascensione di un martire al cielo.
Per quanto mi riguarda, ho un’idea per la testa di un santo, sereno 
e sbarbato come un melone tagliato in due. 

Rompiamo l’argilla cotta e smaltata e la sezioniamo in tasselli, 
esercitandoci ogni santo giorno
la piega di un mantello in una stazione della Via Crucis 
mentre gli schiavi e altri poveracci scavano fossati 
per bonificare la città che chiameremo Ravenna. 
Che privilegio immaginare un regno
che si leva da piccole isole vicino alla costa.
I re e i papi hanno mentito per secoli 
la verità è che siamo parte del buono che appartiene alla bellezza. 
Qui crediamo ancora nel battesimo per immersione
e giochiamo con archi rampanti, immaginando
il futuro del nostro passato, anche se ci consumiamo 
le dita fino all’osso, che è bianco come l’altro lato di ogni tessera. 
La testa del santo davanti a me è stretta come un teschio. 
So che la morte dà alla vita la sua aureola. 


Mosaic School 
The youngest deconstructionists among u
are proud at first to spend their days breaking up 
great slabs of fired tile every shade of wine
while the masters climb the scaffolds
with their gold pride, their gilt, reaching for
a sandal buckle or the heights of a halo.
They hardly talk to us. Their brushes whisper 
like last century’s empress’s sarcophagus.
Some even design the important porticoes
of Bologna while another mixes saffron and yolk 
for A Hawk Interrupting a Cockfight,
and still other artists make flames from marble 
for a martyr’s placid passage heavenward.
Me, I have an idea for a saint’s head,
beardless and serene as a split melon. 

We break and arrange the glazed and fired clay 
in patterns, practicing all blesséd day
a fold of a cloak in a station of the cross
while the slaves and other poor dig ditches 
to drain the city we will call Ravenna. 
What a privilege to imagine a kingdom 
rising out of little islands near the coast. 
The kings and popes have lied for centuries 
the truth that we are a part of beauty’s good. 
We still believe in full immersion here 
and play with flying buttresses, imagining
the future of our past, though we work our fingers
to the bone which is white like the undersides of tiles. 
The head of the saint before me is narrow as a skull. 
I know that death gives life its halo. 


Note
L’averla piccola (o uccello impalatore) 
Questo uccello ha l’abitudine di impalare le sue prede alle spine di qualche pianta (come i rovi o cactus citati nella poesia) o al filo spinato per poterle mangiare con comodità.

Migrazione
Pieter de Hooch (Rotterdam, 20 dicembre 1629 – Amsterdam, 24 marzo 1684) è stato un pittore olandese del Secolo d’oro.



Foto di Chiara Signoretti

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