Alcuni testi tratti dalla silloge Lunario di Giuliana Pala (Oristano, 1997), vincitrice, insieme a Beatrice Restelli e Arjeta Vucaj del premio “Esordi – Pordenonelegge” 2022. L’intera silloge si può leggere nell’ebook pubblicato dalla fondazione pordenonelegge.it, a cura dei giurati del premio (insieme a me, Roberto Cescon, Tommaso Di Dio, Massimo Gezzi, Azzurra D’Agostino).
II. PESCI CIELO Sogno II Incontro quattro pesci e aspetto l’uomo grosso Dio arriva sempre dall’altra riva I Con dieci amici puoi andare a fare il bagno se vuoi e così fai il pesce cielo quanto ti pare in tanti si fa festa nelle baie e puoi sentirti solo mentre l’acqua ti manda in avanti tutto sbagliato vienimi a prendere qui sotto quando faccio il pesce cielo e dico tutto con la bocca chiusa e lo sguardo aperto i segreti io li dico tutti così perché quando l’udito è basso sei tu il primo a dimenticare la rivelazione quanto è stato detto tra te e l’acqua. II In acqua ci sono quelli che ci giocano fin da piccoli, entrano e urlano guardami sono morto, agitando un'ultima volta le braccia per poi farsi distesi. Alcuni non agitano nemmeno le braccia, si fanno morti senza preavviso convinti che qualcuno li vedrà prima o poi, e ad un certo punto succede che dimenticano il salvataggio. A fare il morto mi si abbassava l’udito, si faceva acquatico come quello dei pesci cielo e tendevo a destra o a sinistra, il corpo non andava mai dritto e lo sapevo, lo seguivo muoversi sbagliato. IV C’è questa nuova forma che ha preso vita nell’immaginario che non si capisce come sia fatta, sta a mollo ma in volo come se fosse zuppa ma in alto e andasse con i palmi aperti, alati, tutta slanci e appoggi. Fanno dei corridoi estremi tra le nature le forme, tutto ha la possibilità di essere altrimenti, come le cernie che superati i 25 centimetri che sono poco più di due palmi di mano, si possono fare donne o uomini a piacimento e allora quando ne vedi una ci pensi a come tutto cambia con facilità dopo la lunghezza di un dito, a come niente sia tanto prestabilito neppure i tratti del tuo volto: forse è tutto uno scherzo che somigli a tua madre che parli come lei, che dici tante cose tutte uguali a lei, forse non è poi così vero che non poteva andare altrimenti. V Se uno cresce in aria come una bestia alata, un falcone da bestiario o un pesce cielo gigante poi lo vede i falchi come guardano, che sembrano gente acuta di casa, di quelli che dormono con un occhio aperto e uno chiuso, a ripetersi nel sonno siamo vivi siamo vivi. È un poco come quando in alto, fissato il sole, sei tutto cieco e per provarti di vedere ancora sposti tu lo sguardo sugli oggetti aspettando che si riadegui, ritorni in sé da quello stato febbrile che per un poco ti ha fatto sentire diverso. E allora vorresti essere un pesce cielo, un falcone da bestiario per guardare sempre come chi sta in una terra diversa, alta quanto basta, o bassa ma liminare, mezza cielo mezza terra, come i pesci, l’afonia, il gorgoglio in cui stanno tutti muti. VI Ecco che passa mezzo acqua mezzo cielo eccolo con un naufragio, corpo acquatico l’occhio spiana un viale sul mare: un abisso ordinato e ripercorribile: che bello sarebbe farci nuovi due volte su questo mondo. Eccolo che dà una beccata sicura al dorso del mare e si apre un suolo cavo, una nuova buca, le buche di luce e qualcuno perduto nelle fantasie corre a fare tana, a infilarci le gambe dentro.
III SOMNIUM Sogno III La vedi la luce bianca farsi bianca, esistere alla sola tua vista
I. SOMNIUM
Soffiava che sembrava un rombo di corni aperti che ci bevi dentro solo nel giorno del matto quando]
ti è lecito fare fuori la faccia che tieni sempre, esagerare il verbo e macchiarti per benino, così soffiava]
e non avevamo tanto da fare se non stare vicini, fare come i buoi, la bianca coppia alata.
Su un promontorio lontano come le figure isolate di quei quadri dove solo uno compie, in lontananza]
qualcosa si vede un uomo che fa qualcosa di appena importante perché ciò che conta
è che sia solo appena visto agire, che tu tenga a mente la sua collocazione in quel mondo nuovo
la distanza tra la porzione del tuo sguardo e tutta quella luce. Qualcosa tende i corpi su un lato
come meridiani antichi tracciati con mano ferma e polso duro, il vento sembra quello delle ballate]
tutto è avvisaglia, rimprovero. Ogni tanto ci tocca ancora alzarci e abbassarci ma quando il mondo]
si fa un poco obliquo viene difficile stare in piedi, la terra ti vuole disteso a tutti i costi
e qualcuno allora acconsente: si mette sulla sabbia, si tiene così, lungo lungo, si fa duraturo.
Di lato qualcuno si sporge cercando un dirupo che faccia star meglio perché questa forma di estensione]
un poco fa paura a chi va solo fin dove si può. Tutto sembra un quadro obliquo, un rovescio
in cui si precipita per forza, si finisce sotto una cornice, qualcosa
lontano galoppa, un cavallo, un sogno bianco.
IV. SOMNIUM
Secondo qualcuno c’è un passaggio da queste parti, un luogo dove si entra uno alla volta
trattenendo il fiato, abbandonando nella luce le circonferenze, le forme avute da sempre.
Il viaggio avanza, fa una rotazione compiuta, e vedi le figure partecipare
equilibrarsi come fantasmi azzurri, non sono mai sicura di chi siano
le azioni svaniscono sempre più lentamente
rimangono gesti intravisti: un gomito, un palmo, una schiena che si fa ponte
e si tende sulla sabbia, a mostrare che quando il passaggio è aperto
bisogna raggomitolare il corpo nella sospensione, puntare alto
lo sguardo come una lepre d’acqua e sperare di ritrovarsi salvi.
Il cammino è un boato grosso e bisogna perdurare nelle vocali, trattenere
intatti questa forma di fiato, osservare come si perda un suono
quando sa di essere l’ultimo, quando giunto a un punto del sogno
diviene giusto che ormai si dissolva.
V. SOMNIUM
Come sei bianco ora nella luce, in questa baia dilagata, mia madre mio padre vicini tutta famiglia]
e fratelli, in tanti, qui intorno, a confondersi figli di chi. Qualcosa da lontano rifugge alla vista:
una fontana bianca colma di merli buca lo sguardo, e si sentono i canti di un tempo, le attese
quel modo di farsi luce che aveva il giorno. Ti vedo seduto a farti morto sulla riva
a morire bianco per far vedere che te ne vai prima e che io alla fine
devo farti le preghiere, l’acqua mi bagna e sono sola in questo luogo così tanto aperto,
fammi strada da queste parti, per queste zolle azzurre che non sanno di mondo
per questa forma che ha oggi il pianeta così vicina così limpida al bianco
incontro quattro pesci e aspetto l’Uomo Bianco, Dio arriva sempre dall’Altra parte.
Foto di Riccardo Frolloni