conservo parole di nodo in nodo poi - lasciare che sciolgano strade tutta quest’acqua a lambire i miei passi la scrivania aperta alla luce spostavo gli oggetti per conoscerli come in un gioco con sassi di mare viaggio e ritorno mi dicono è tutt’uno tutti i miei passi nell’albero a lungo guardato troppo colma la ciotola poco ferme le mani - a terra gocce come isole ti chini le congiungi con un dito il mare quanta acqua accoglie era l’ampiezza del tavolo da pranzo a mostrare con lenta noncuranza il cibo sparso distante dalle mani trasparenza del bicchiere vuoto unico fuoco la finestra accesa lo sguardo oltre – in volo quando la tua stanza è gorgo e unica mappa diventa il passo tra il canto e l’incolto delle viti un grappolo caldo di luce inquieta dolcissimo di acini sospesi accostarsi al frutto come volpe o merlo cogliere il succo di stagioni a finire – nel battito dello sguardo che trasvola il bosco ripara sementi c’era una stufa calda nell’angolo sommesso dove aprire le mani era tutt’uno – facile consentire tramutarsi in aria il vento ha aperto stupori di angoli facciate di luce – mi ha spinto a far spese di cibo buono intenso di aromi sulla panchina di là del binario due ragazzi ridono, si giocano tenerezze con le mani – a tratti un suono di risacca di mare il mio finestrino dispensa tepore ho spostato il tronco con la lettera incisa tolto pietre interrate da passaggi distratti uno spago incurante dei pezzetti di vetro due radici contorte erbe di troppo (nel residuo di vento il giardino rimane) ogni guado è contatto – toccare il suolo a piedi nudi guardare a occhi spalancati – come una foglia la luce Praticare la poesia è trasformazione, come il cammino. È una modalità di sguardo, una visione – sentirsi parte di quello che sta intorno, accanto. Un fiato universale che attinge da un territorio comune dove possiamo ritrovarci. Solo camminando si può pensare che forse non solo per sé cantano gli uccelli ma anche per noi che, ora, stiamo sulla terra. Foto di Francesco Ventura