Alcuni testi dal terzo libro di poesia di Antonella Palermo, Il giunco e la statua, Vydia editore 2024
I campanelli senza nome inquinano le piste –seducevi così, smarcando prese ovvie – nel frattempo i rampicanti hanno infestato il corrimano riconosco una finestra senza affaccio –appartenere a chi? – Tanto brillare d’ottone è una lama, un fischio. E tu continui a non metterci la faccia falsifichi ogni entrata. Se ci fosse dell’oro nel pietrisco del rene? Tanto oro fino quanti fiati servono a disseppellirlo. Trovata, annodata al dolore, la parola si arrende scoria e sangue, una fortuna. Abbiamo messo il tavolo al centro e ci siamo finiti sotto. Le parole esposte all’intralcio delle sedie. Ci si sbranava per minuzie qui ora si gioca al minimo, le voci attutite, sentire il vuoto sotto anche se poggiamo i piedi. Riducimi a posa in fondo al bicchiere come quando, bambina, mi concentravo su ogni fiato e guardavo dal vetro l’eco dei tuoi contorni. Sotto braccio camminammo. Eri un giunco, eri la statua di Giacometti carne reliquia fossile la pressione di tutti i piedi viandante affaticato e vecchio. Domani il museo si farà muto come muti siamo noi il bronzo solo che tintinna. San Giovanni di Sinis, Cabras Né maestrale né gatti sorvegliano la camera ardente, di giugno. Proprietario esclusivo è il silenzio due turisti si infilano nei covi d’arenaria, c’è un’inservibile ombra. Due ante a molla sopravvissute al rogo del saloon fischiano dentro un quadrato di ricoveri nani. Affacciano su una pista da ballo deserta. È un forte con vichi finti e, dentro la chiesa sbarrata, un ipogeo per propiziarsi l’acqua. È l’eccesso del tempo che cresce marcisce eterna. Fuori è una danza per distratti. Compassi col perno sepolto nella colata d’asfalto le punte dei rami. Le vedi queste braccia che ti chiamano? Fìdati, come mi fido io che oscillo c’è ancora terra su cui ancorare un busto vivo, ancora mani in cerca di una direzione. Foto di Antonella Palermo